Dunque il pubblico presente in studio, nei talk-show politici della Rai, non potrà più parteggiare per questo o quel contendente. Non potrà fare «boo» se sente qualcosa che lo indigna, non potrà sostenere con la voce un discorso che invece condivide. Composti, equanimi e misurati; muti come gli scolari pre-‘68 o pronti ad applaudire a comando, ma con tempi rigorosamente predefiniti (forse proporzionali al peso elettorale di chi parla?).
Il pubblico in studio dovrebbe rappresentare un campione di quello che sta a casa; che certo parteggia e si incavola. O forse no, non più, Masi ha ragione. Allora però estremizzo e avanzo una proposta costruttiva: perché non toglierlo completamente il pubblico, studiando una scenografia graficamente impeccabile che non lo preveda? Immaginate la scena: i politici che litigano, si insultano pesantemente (certo continuerebbero a farlo, sarebbe un’offesa alla loro integrità sospettare che lo facciano soltanto se aizzati da un pubblico) - il tutto in un silenzio glaciale, con un leggero rimbombo delle pareti. Quale più icastica rappresentazione del rapporto tra loro e i cittadini, dell’intercapedine sfiduciata e un po’ attonita che sono riusciti a creare intorno a sé? Se l’immagine del pubblico fosse necessaria per ragioni formali, come effetto-specchio, suggerisco una soluzione già attuata in un quiz di Enrico Papi: il pubblico virtuale proiettato sugli spalti, con applausi registrati. Magari in 3D: quando si tratta di garantire il sopore, si sa, la Rai non bada a spese.
di Walter Siti; LA STAMPA
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