venerdì 27 gennaio 2012

27 gennaio

Il genio 2

Il genio

This isn't photoshopped

Meteoropatia

Lo Spiegel ha scritto che non è un caso se Schettino è italiano: un capitano tedesco o inglese si sarebbe comportato in ben altro modo. E così, per capire l’abbaglio della moneta unica, non serve essere economisti, basta andare a Napoli. Per lo Spiegel non è una questione razzistica: «Il carattere nazionale è qualcosa di simile alla differenza di comportamento provocata dalla differenza tra i due sessi. Le nazioni sono diverse per motivi climatici». Capito? Non è mica razzismo. È che noi abbiamo un clima peloso e tarchiato.

di Mattia Feltri; LA STAMPA

martedì 17 gennaio 2012

La questione morale

«Nel Popolo della libertà» - ha detto ieri sera il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, dopo essersi consultato con Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, Nicola Cosentino, Aldo Brancher, Alfonso Papa, Massimo Ponzoni, Nicole Minetti, Altero Matteoli, Luigi Grillo, Antonio Tomassini, Gian Carlo Abelli, Marco Milanese, Francesco Morelli, Alberico Gambino, Raffaele Fitto, Guseppe Scopelliti e tanti, tanti altri - «non c’è una questione morale».
di Mattia Feltri; LA STAMPA

lunedì 16 gennaio 2012

Come ti chiami?

L'Avvocato non c'è più; la Fiat ha rischiato di sparire e non è più la stessa; idem la Juventus. Oggi degli Agnelli fanno notizia soprattutto i nomi che danno ai loro discendenti. Il lato Elkann era tradizionalmente quello più creativo, con John e Lapo, e i figli di John, Leone e Oceano. Era una certa voga aristocratica per il nome proprio che è anche un nome comune (Acqua, Diamante, Orchidea): ma poi va anche detto che Leone è stato il nome di 13 papi (oltre che di Leone Ginzburg) e che sul calendario non manca persino un Sant'Oceano. Anche il figlio di Briatore, Nathan Falco, su cui tante ironie sono state fatte, ha due nomi inusuali ma non inventati: Nathan è un personaggio biblico ed esiste un San Falco.

L'onomastica della famiglia Agnelli è tornata ora alla ribalta con la nascita del secondogenito di Andrea Agnelli, Giacomo Dai, che farà compagnia alla primogenita Baya. Mentre su Giacomo non c'è proprio nulla da eccepire, Dai e Baya sono nomi imperscrutabili: corrispondono a etnie rispettivamente cinesi e congolesi. "Dài", oltretutto, prima di essere la parte ripetibile di un tormentone del film "I soliti idioti", era anche l'esortazione più ripetuta dai genitori italiani ai loro figli, come certificano tutte le baby-sitter e le ragazze au pair straniere accasate presso famiglie italiane.

La bizzarria alla fonte battesimale non è certo un'esclusiva delle famiglie altolocate: probabilmente si può interpretare come volontà che il proprio figlio abbia sin dalla nascita un marchio di unicità. Eppure il caso degli Agnelli merita molta attenzione, quanto meno per i suoi precedenti. Si pensi all'impressionante linea ereditaria su cui si è imperniato il Novecento italiano: lo scettro è passato dal capostipite Giovanni Agnelli al nipote Giovanni, ma per tutti Gianni, e da questi al nipote John. Giovanni, Gianni, John: una linea ereditaria onomastica che sintetizza una storia del costume italiano.

Anagramma: Andrea Agnelli: La grande linea

di Stefano Bartezzaghi; l'Espresso

Il complotto del Titanic

Stai a vedere che ora la colpa è dello scoglio...
di Jena; LA STAMPA

Poverino Angelino

Nuovo inno per il Pdl. In attesa del nuovo partito e del nuovo organigramma, e naturalmente del nuovo nome (Silvio Berlusconi odia gli acronimi che fanno tanto Prima Repubblica), ecco il jingle del futuro. Sorpresa! Non è di Mariano Apicella ma dei Ricchi e Poveri! Siamo in grado di offrirvelo in anteprima mondiale, poiché ieri due parlamentari ce l’hanno intonato nel cortile di Montecitorio. Fa così: «Che confusione / sarà perché c’è Alfano / Che delusione / è proprio questo Alfano / Disperazione / abbiamo solo Alfano...».
di Mattia Feltri; LA STAMPA

S&P

Naturalmente a tutti noi, ieri, è venuto in mente quel risolino fra Nicolas Sarkozy e Angela Merkel a proposito dei nostri conti e della nostra affidabilità. Fu una cosa che diede fastidio a tutti, senza dubbio ai berlusconiani ma anche ai neutroberlusconiani e un po’ persino agli antiberlusconiani. Però adesso sarebbe sciocco rallegrarsi delle sventure dei cugini. Perché le sventure loro sono le sventure di tutti noi. Ed è quindi con dispiacere che diciamo che Standard & Poor’s ha portato il rating della Francia da AAA a AH AH AH.

di Mattia Feltri; LA STAMPA

Ciao Carlo

«Il Manzoni… bisogna leggerlo, assolutamente». Se n’è andato con il suo scrittore preferito sulle labbra, Carlo Fruttero. E con un sorriso, perché nelle ultime settimane sorrideva sempre. Sorrideva e viaggiava. Chiudeva gli occhi e andava in Inghilterra, in Cina, in Giappone, ma anche a Passerano e a Canelli. In posti dove non era mai stato e in altri che non visitava da tempo. Cosa ci andasse a fare, lo sapeva soltanto lui. Quando tornava indietro, non si perdeva nel racconto dei particolari. Diceva solo che aveva visto una certa strada, una certa faccia, un ricordo oppure un sogno ancora mai sognato. Aveva fretta di partire di nuovo. «La borraccia, riempitemi la borraccia. E la valigia. È pronta la mia valigia? Insomma, sbrigatevi. Quando mi portate via di qui? Devo fare un altro viaggio, devo andare a Torino!».

Da quando si era trasferito definitivamente in Maremma, nel comprensorio in cui tanti anni prima aveva comprato casa accanto all’amico Italo Calvino, Torino era di continuo nei suoi pensieri.

Come La Stampa . Ne aveva sempre qualche copia sul letto, ma se volevate davvero fargli un regalo, bisognava portargli l’edizione locale, quella con le pagine della cronaca cittadina. Ah, era uno spettacolo vederlo spuntare dalle lenzuola per avvolgersi in quei fogli di carta che parlavano di quartieri e personaggi nei quali aveva ambientato i suoi romanzi, ma soprattutto la sua vita. Non c’era storia minore che non attirasse la sua curiosità. Tanto a farla diventare maggiore ci pensava lui, chiosandola con un aneddoto o una riflessione che la elevavano a fatto universale.

Non aveva paura di morire, Carlo. Era solo preoccupato dalla difficoltà dell’impresa. «Non pensavo che andarsene sarebbe stato così lungo» ha continuato a ripetere fino a ieri. Proprio lui che amava gli articoli e le frasi brevi. Dal giorno in cui me lo ha insegnato, applico ai miei testi il famoso emendamento Fruttero: «Nel dubbio, togli. Togli sempre. Cominciando dagli aggettivi». Togliere ogni peso superfluo alle parole, alle relazioni umane e ai pensieri era il suo modo di essere leggero rimanendo profondo: la lezione di Calvino.

Non aveva paura di morire, ma ne sentiva la responsabilità verso i vivi. Le figlie, i nipoti, gli amici, i lettori. Persino verso di me. Mentre scrivevamo la storia d’Italia in 150 date, era lui a mettermi fretta. «Ho il timore di andarmene prima della fine e di lasciarti a metà strada. Che so, nel ’38 o nel ’72…». La sentiva anche verso il suo Paese: «Stanno arrivando tempi duri. Bisogna che io non muoia. Non posso prendere congedo proprio adesso. Sarebbe una fuga. Ma vedrai, ce ne tireremo fuori anche stavolta. Non dimenticarti chi siamo… L'Italia, no?».

La morte, avrebbe detto Marcello Marchesi, lo ha colto vivo. Ultimato da settimane il suo necrologio, stava dettando un altro libro alla figlia Maria Carla, talmente in sintonia con lo spirito del padre da saperne interpretare anche i sospiri. La biblioteca ideale di Carlo Fruttero: una sorta di giro del mondo in 80 titoli di cui ragionava da tempo con Fabio Fazio e che sarebbe stato, e mi auguro sarà, il suo testamento culturale.

Non era un provinciale, come non lo sono i torinesi che hanno i piedi per terra ma la testa alta e gli occhi capaci di guardare lontano. Eppure quest’uomo che ha letto e amato libri scritti in tutte le lingue del mondo, ultimamente aveva riscoperto i classici di quella che era la sua patria, bene o male. Si era preso una autentica cotta per Pinocchio - «un innamoramento senile», scherzava - mentre quella coi «Promessi Sposi» era una lunga e solida storia d’amore che di recente aveva conosciuto un ritorno di passione.

«Il Manzoni… bisogna leggerlo, assolutamente». Lo ha ripetuto fino all’ultimo, fino alla partenza del viaggio che non lo porterà più a Torino ma in un altrove che gli auguro sia lieve con lui e come lui. Avrei altri cento aggettivi per salutarlo, ma qui scatta inesorabile l’emendamento Fruttero. Così ne salvo uno solo, il suo preferito. Leggero.
di Massimo Gramellini; LA STAMPA

sabato 7 gennaio 2012

Allegria!!!

La mia caserma è a Fossano (Cuneo). Il maresciallo ci aveva insegnato un messaggio cifrato: “Ragazzi, se anche tra 30 anni sentite al telegiornale ‘Il gallo cedrone canta male ma nemmeno tanto’, piantate lì tutto e correte alla vostra caserma: la Repubblica è in pericolo”. Il problema è che magari l’han già detto, ma io non sto tutto il giorno davanti alla tv. Per sicurezza domani vado a Fossano a controllare. Già che ci sono mi faccio dare 3 mimetiche, 2 anfibi e 4 buste di grappa cordiale.

di Maurizio Milani

Austerity

Senza titolo

Viva le vacanze

Francamente non si capisce tutto questo chiasso - e tutta questa indignazione - per i politici che se ne vanno a trascorrere le vacanze nelle esotiche isolette. Oltretutto che succede sempre. Non soltanto a questo Capodanno, ma anche al Capodanno scorso Gianfranco Fini (con la Tulliani) e Pierferdinando Casini (con la Caltagirone) erano stati segnalati sulle spiagge delle Maldive. Per dire: c’erano anche Belén con Fabrizio Corona. Poi quest’anno Corona non poteva e lo hanno sostituito con Schifani.

di Mattia Feltri; LA STAMPA

Il paese dei pagliacci

La linea l’hanno data Fabrizio Cicchitto e Massimo Boldi, uno dei quali è un comico, anche se non ricordo più chi. Stanare i nullatenenti con Porsche al seguito è un comportamento da Stato di polizia. Come no? Negli Stati Uniti li mettono in galera, ma evidentemente laggiù c’è una dittatura. Non solo: secondo Boldi (o Cicchitto?) si tratterebbe di un colossale abbaglio, perché gli evasori di Cortina sono poveracci che affittano il lusso a rate. Che storia commovente. Ci chiederanno una colletta per pagare il leasing della fuoriserie?

Ormai questa tecnica di difesa dell’indifendibile ha raggiunto vette da far impallidire i sofisti dell’antica Grecia. Se uno viene intercettato mentre truffa, loro non si indignano per la truffa, ma per l’intercettazione. Se ti lamenti di chi ha svaligiato una banca, ti rispondono: parli proprio tu che ai tempi dell’asilo rubasti lo zucchero filato? Se la Finanza bussa a Cortina, si scandalizzano perché non è andata a Capri: forse perché a Capodanno non c’era lo stesso numero di turisti, essendosi dimenticati di sparare la neve artificiale sui faraglioni? Se si cercano i soldi disonesti dove ne girano di più, si strilla contro la caccia al ricco. E se Monti cerca di stanare gli evasori, lo si accusa di non averne titolo, dato che a Capodanno ha mangiato il cotechino a Palazzo Chigi. Assistiamo al delirio scomposto di gente che ha perso il contatto con i propri elettori e lettori. Dovrebbero sapere che al piccolo borghese che vota Lega o Pdl i furbetti di Cortina stanno sulle scatole. Persino più che a qualche corifeo della sinistra, che magari a Cortina ci è pure andato.

di Massimo Gramellini; LA STAMPA

Misteri tutti italiani

Gli economisti del mondo intero sono già in viaggio con i Re Magi verso Cortina d’Ampezzo per visitare la culla del nuovo miracolo italiano. Stavolta la realtà ha superato il cinepanettone.

I dati dell’Agenzia delle Entrate riferiti al prodotto interno lordo del 30 dicembre descrivono una crescita impetuosa.

Farcita di percentuali che si impennano da un anno all’altro e addirittura - ecco la grandezza di questo indomito Paese - da un giorno all’altro. Ristoranti: più 300% rispetto al Capodanno precedente e più 110% rispetto al 29 dicembre. Beni di lusso: più 400 e più 106.

La sera del 29 Cortina languiva ancora, fra strade spoglie e locali deserti. I commercianti erano andati a letto distrutti. L’universo rideva di loro. Li dava per spacciati. Ma nella notte è partita la riscossa e l’alba sulle Dolomiti è stata salutata dal canto dei registratori di cassa che sputavano scontrini come petardi e dondolavano fatture fiscali come palline dell’albero di Natale.

Qualche maligno penserà che il nuovo boom sia rimasto circoscritto ai cortinesi. Niente di più falso. I generosi valligiani lo hanno voluto condividere con centinaia di turisti approdati in città la sera prima, probabilmente su slitte di fortuna. Il mattino del 30 quei derelitti si sono svegliati a bordo di una Porsche. Lavoratori che dichiaravano di guadagnare mille euro netti al mese o, peggio, di appartenere a società sull’orlo del fallimento. E’ giusto che la tanto sospirata crescita abbia premiato anzitutto i più bisognosi.

Come in ogni impresa eroica, anche nel supercinepanettone di Cortina non mancano episodi apparentemente inspiegabili che la mente semplice degli uomini derubrica a miracoli. Un commerciante, per esempio, ha venduto oggetti di lusso per un milione e mezzo senza che ne rimanesse traccia nei documenti fiscali. Ma io diffido delle spiegazioni extrasensoriali. Semplicemente gli si sarà rotta la biro. O la stampante del computer, cribbio.

Gli esperti in arrivo a Cortina dovranno spiegarci le ragioni di questo boom abbastanza inatteso. Cosa potrà mai essere successo, nel breve volgere di una notte, per raddoppiare gli incassi dei ristoranti, i guadagni degli alberghi, le entrate delle gioiellerie? Sono sul tavolo diverse ipotesi. C’è chi attribuisce il merito della svolta a una folata improvvisa di ottimismo, diffusa nell’aria da qualche sciatore berlusconiano in discesa libera. Altri tirano in ballo una profezia finora sconosciuta dei Maya: il 30 dicembre 2011 l’asse della Terra si sarebbe allineato per un attimo con il bancomat della piazza principale di Cortina, producendo una serie di effetti a catena, fra i quali la trasformazione delle utilitarie in bolidi superaccessoriati. Ma esiste anche una teoria più eccentrica. Per tutta la giornata del 30 qualcuno avrebbe visto aggirarsi fra i ristoranti e le gioiellerie un gruppo di alieni in divisa da finanzieri. La semplice presenza di questi simpatici visitatori avrebbe stimolato l’economia, meglio della Fase 2 del governo Monti.

Resta da capire il perché dell’ingratitudine dei cortinesi. I quali, sindaco in testa, invece di ringraziare gli alieni per il supporto morale, li hanno duramente contestati. Un autentico mistero. Chiederò lumi a qualche persona di rinomata sobrietà. Magari a Schifani, Rutelli e Casini, che dopo aver visto in tv il messaggio di Napolitano sulla necessità dei sacrifici sono saltati sul primo aereo per andare a sacrificarsi in un resort delle Maldive.
di Massimo Gramellini; LA STAMPA

Forza Equitalia

La guerra di sguardi lividi e carte bollate che gli italiani hanno ingaggiato da anni con Equitalia non ha nulla a che spartire con i gesti criminali di chi in questi giorni, nonostante le smentite della Storia, vuole farci credere che le ingiustizie si guariscano evocandone la madre: la violenza.

La guerra di cui ci occupiamo qui è una guerra fra poveri, anzi, fra impoveriti (le finanze individuali contro quelle pubbliche) ed è il sintomo di un’emergenza nazionale che precede e spiega tutte le altre: il rapporto fra i cittadini e lo Stato.

Secondo il manuale di educazione civica che prende polvere da decenni nelle nostre librerie, i cittadini sono lo Stato. E le tasse, di conseguenza, lo strumento per finanziare se stessi. Non pagarle rappresenta un atto di masochismo. Ma in Italia non è così. Per un italiano lo Stato è altro da sé, è un vampiro arrogante da buggerare più che si può. Di solito viene identificato con la casta costosa, pletorica e inefficiente dei politici, con il treno sporco e perennemente in ritardo dei pendolari, con il funzionario pubblico che digrigna i denti al di là dello sportello, complicandoci le cose facili e non semplificandoci quelle difficili.

D’altro canto, per un funzionario pubblico il cittadino italiano non è il suo datore di lavoro, ma un postulante. Non il comproprietario dello Stato, ma un suddito. L’effetto di questa estraneità reciproca, rimasta grosso modo inalterata dai tempi delle invasioni barbariche, si riverbera sulla relazione cruciale fra chi paga le tasse e chi le riscuote. Il contribuente considera Equitalia un taccheggiatore. Equitalia considera il contribuente un evasore.

Equitalia detesta il contribuente perché sa che egli farà o ha già fatto di tutto per fregarla. Perciò gli starà addosso con i metodi dell’inquisitore, applicando senza un briciolo di buon senso quelle leggi che le consentono di pignorare la casa e l’auto a chi non possiede nient’altro per lavorare e quindi per pagare le tasse. L’agenzia agirà come se avesse sempre ragione e quando la giustizia le darà torto si rifiuterà di riconoscerlo fino all’ultimo grado di giudizio, confidando nella stanchezza del cittadino, che pur di non spendere altri soldi in tribunale accetterà di pagare in forma scontata una somma che non avrebbe dovuto pagare affatto.

A sua volta il contribuente ritiene che Equitalia si accanisca contro di lui perché è piccolo e nero, mentre i grandi patrimoni vengono risparmiati e coloro che portano i soldi all’estero o mettono le proprietà immobiliari all’ombra di società di comodo non correranno mai alcun rischio. E’ portato a considerare veniali le sue colpe, anche quando ci sono, e sproporzionata la reazione della controparte.

Questo stato d’animo è aggravato, o forse addirittura determinato, dalla mancata percezione dell’interesse comune. La maggioranza degli italiani è convinta che le tasse riscosse da Equitalia non serviranno a pagare i servizi essenziali, ma a ingrassare i soliti noti, perciò vive l’evasione come una forma di autodifesa invece che come una diserzione sociale. In realtà i servizi, anche se pessimi, ci sono e ce ne stiamo accorgendo adesso che cominciano a scarseggiare. E ci sono anche gli evasori: quelli grandi, certo, ma pure i piccini, che la latitanza dei grandi non rende meno colpevoli.

Quando si parla di cartelle esattoriali ogni italiano diventa doppio. La sua parte A applaude all’irruzione delle Fiamme gialle negli alberghi di Cortina durante le festività natalizie, a caccia di ricconi esentasse. Ma la parte B solidarizza con gli abitanti di Cortina che dal prossimo Capodanno rischiano di perdere la clientela e quindi il lavoro. In genere questa parte B è particolarmente sviluppata quando l’azione invasiva dello Stato lambisce le nostre tasche. Quando invece tocca quelle degli altri, rifulge al massimo splendore la parte A. Una schizofrenia che raggiunge livelli di autentico interesse scientifico in una certa sinistra radicale a cui ha appena dato voce Beppe Grillo. Quella che invoca uno Stato cane lupo, da aizzare addosso agli evasori, tranne poi lamentarsi se il cane lupo Equitalia sbrana tutto ciò che fiuta.

di Massimo Gramellini; LA STAMPA

martedì 3 gennaio 2012

Finalmente

Monti non è un tecnico e non è un economista. Mario Monti è un finissimo uomo politico e ne abbiamo avuto la prova, anzi la conferma, dalla conferenza stampa di giovedì scorso. È durata più di due ore. Ha fatto un discorso introduttivo di un quarto d'ora e poi, per più di un'ora e mezzo, ha risposto a 31 domande assai pepate dei giornalisti. Forse alla fine era un po' stanco ma non si vedeva, l'adrenalina lo sosteneva come fosse uscito in quel momento da un benefico riposo.

Durante la conferenza stampa, tra tanti argomenti toccati e approfonditi, ha fatto l'elogio della politica ricordando che è l'attività più nobile dello spirito umano perché si occupa del bene comune nostro e dei nostri figli e nipoti.
"Gli uomini politici possono essere all'altezza del compito oppure scadenti e corrotti, anteponendo il bene proprio alla prosperità degli altri. Il nostro sforzo - ha detto - è quello di favorire il miglioramento del personale politico operando con efficacia per recuperare il valore di quell'attività".

Era molto tempo che non assistevamo ad un incontro di quel livello.
Competenza, padronanza degli argomenti, ironia e autoironia, furbizia tattica e sapiente strategia.
Personaggi di quella taglia se ne vedono pochi in giro in Italia e anche in Europa. A me che ne ho conosciuto parecchi sono venuti in mente Vanoni e Andreatta, La Malfa e Visentini, Schmidt e Jean Monnet.

Esponeva i dati della situazione
economica, le strettezze della finanza, le difficoltà di elaborare un programma di sviluppo senza abbandonare il rigore, tenendo insieme un'eterogenea maggioranza parlamentare e negoziando con le parti sociali sul patto generazionale senza il quale è impossibile realizzare la crescita e l'equità. Alla fine ha riassunto l'obiettivo che il suo governo si propone di realizzare indicando i tre valori che vi presiedono: libertà, giustizia, solidarietà. Sono i valori sui quali è nata l'Europa moderna e le bandiere tricolori della Grande Rivoluzione ne furono e ne sono il simbolo rappresentativo.
Quella conferenza stampa è stata il battesimo di un leader di prima grandezza e ne siamo usciti rassicurati e grati.

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Le critiche non sono mancate. Si voleva che desse conto dell'articolato dei provvedimenti destinati allo sviluppo che saranno pronti entro il 20 gennaio, seguiti da ulteriori interventi in febbraio e in aprile. Si volevano indicazioni sul livello ottimale dello "spread" che si trova ancora al suo picco. Le "lobbies" che ancora padroneggiano ampi settori del Pdl e della Lega sono decise a limitare l'entità delle liberalizzazioni. Di Pietro è arrivato a rimproverarlo di non avere la bacchetta magica come ci si aspettava.
Ma chi si aspettava i miracoli? C'è ancora gente così stolta e così intrisa di demagogia da pronunciare frasi così insensate? C'è ancora gente che rimpiange i tempi in cui imperavano le cricche berlusconiane? Gli italiani hanno scarsa memoria storica, ma non fino a questo punto. La politica seria non fa miracoli e non è un circo equestre dove si esibiscono acrobati, orsi che fanno l'inchino e maghi che mangiano il fuoco. La politica è senso di responsabilità, realismo, diagnosi dei malanni e attento dosaggio dei rimedi.
Al circo ci vanno i bambini e recitano i pagliacci che li fanno ridere con le loro smorfie e la faccia infarinata.

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Non vi aspettate che la crescita sia a costo zero, lasciate a Giulio Tremonti queste baggianate con le quali ci ha portato al punto in cui siamo. E non vi aspettate che le misure di sviluppo indicate da Monti siano sufficienti se non saranno accompagnate da un'adeguata politica economica europea.
Lo sviluppo presuppone investimenti, gli investimenti presuppongono un aumento della domanda, quell'aumento presuppone un maggior potere d'acquisto. Questa sequenza di cause e di effetti che interferiscono tra loro presuppongono fiducia, cambiamento delle aspettative, mobilitazione di risorse ed equità nella distribuzione dei sacrifici e dei benefici.
Il governo ha messo al primo posto della sua agenda la lotta all'evasione indicando gli strumenti dei quali dispone. Ha sottolineato la necessità di far crescere la produttività e con essa i salari. Per ottenere l'aumento dei salari netti bisogna ridurre il divario tra costo del lavoro e busta paga. Quindi bisogna fiscalizzare i contributi riducendo massicciamente le imposte sulle imprese, il cuneo fiscale o comunque lo si chiami.

Ma sull'aumento di produttività va aggiunto che il problema va molto al di là del costo del lavoro: ci vogliono forti innovazioni sia nei processi produttivi e sia - soprattutto - dei prodotti. Su questo secondo punto l'industria e i servizi del terziario di qualità lasciano molto a desiderare. Quando si discute della produttività sembra quasi che il tema non riguardi gli imprenditori ma i sindacati operai. Marchionne è l'esempio eloquente di quest'errore di prospettiva. Se l'imprenditoria italiana non specializzerà la sua ricerca sull'innovazione del prodotto, recuperare adeguati livelli di produttività resterà una chimera.
Non a caso su questo punto Monti ha messo l'accento. Il "piccolo è bello" ha fatto il suo tempo perché il "piccolo" non è in grado di fare ricerca. Il piccolo non è bello affatto e va energicamente incoraggiato a crescere anche se finora su questo punto si è fatto pochissimo.

Quanto alla mobilitazione delle risorse per accrescere il potere d'acquisto dei consumatori, il recupero dell'evasione è certamente fondamentale ma i risultati avranno bisogno di tempo. È esatto constatare che fino a quando quella lotta non avrà prodotto i suoi frutti continueranno a pagare "i soliti noti". Ma se bisognava salvarsi dal baratro con una manovra preparata in due settimane, chi avrebbe dovuto pagare se non i suddetti "noti"? Si poteva aspettare un anno o ancora di più? I movimenti di protesta, le opposizioni senza argomenti, non rispondono a questa domanda sui tempi, quando gli attuali "ignoti" saranno finalmente scovati, l'aumento delle entrate bisognerà destinarlo a ridurre le imposte sui soliti noti, questa è l'equità che il governo si propone e ci propone.

Nel frattempo però anche la crescita richiede una partenza rapida. L'obiettivo più a portata è il taglio delle esenzioni e delle regalie fatte a suo tempo a molte categorie di impresa che non danno alcun particolare contributo d'innovazione e di crescita. La cosiddetta "spending review" prevede una mappatura che solo questo governo ha cominciato ad avviare ma che chiederà anch'essa tempo, salvo alcuni casi macroscopici che gli esperti conoscono bene. Questi sprechi - perché di veri e propri sprechi si tratta - vanno colpiti subito, la cifra che si può recuperare prevede almeno 10 miliardi immediati. Non si tratta di tasse ma di spese da tagliare. Entro aprile quest'obiettivo può essere realizzato ma lo sgravio sul potere d'acquisto dei consumatori può essere disposto subito finanziandolo con quell'esenzione dal deficit degli effetti della congiuntura che Monti ha già chiesto a Bruxelles e che auspichiamo sia definitivamente riconosciuta negli incontri europei di fine gennaio.

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Molti si chiedono quali risultati abbia dato l'imponente erogazione di liquidità (500 miliardi) che la settimana scorsa Draghi ha effettuato. Monti non ha fatto alcun cenno in proposito perché la Bce ha finanziato il sistema bancario e non i debiti sovrani degli Stati europei, visto che il suo statuto non glielo consente. Ma è ovvio che il governo conosce i possibili e fondamentali effetti di quella manovra per il collocamento dei titoli di Stato per cifre imponenti da febbraio ad aprile e oltre.

Le banche finora non hanno utilizzato la liquidità proveniente dalla Bce. In piccola parte sono intervenute alle aste dei giorni scorsi soprattutto sui Bot a tre e sei mesi e, in misura ancor più limitata, sui quinquennali e decennali emessi giovedì scorso. In parte hanno ricomprato obbligazioni proprie sul mercato secondario, ma il grosso della liquidità è fermo nei depositi della Bce. In attesa di che cosa?
Due sono i motivi di questa prevista gradualità. Il primo riguarda le decisioni europee di fine gennaio, il secondo la letargia della clientela sia per quanto riguarda l'attivo sia il passivo delle banche. C'è stata nei mesi scorsi una diminuzione cospicua dei depositi e una altrettanto cospicua diminuzione della richiesta di nuovi prestiti, in parte come effetto della recessione e in parte a causa della perdurante sfiducia nella capacità dell'Europa di governare la crisi. Meno depositi, meno prestiti, preferenza per investimenti a breve, cautela su quelli a lungo termine.

Le previsioni della Bce sono moderatamente ottimistiche.
Prevedono che in febbraio le banche europee saranno presenti attivamente alle aste in Italia, Spagna, Francia, Germania. Faranno profitti con la differenza tra i tassi delle aste e quello dell'1 per cento che gli è costato l'approvvigionamento. Quei profitti andranno a rinforzare i loro capitali e la loro presenza alle aste avrà il risultato di far scendere i rendimenti sui titoli pubblici, sempre che questo circuito virtuoso si realizzi.

Per quanto riguarda lo "spread" se questi percorsi si metteranno in moto diminuirà anch'esso anche se i picchi attuali dipendono in parte dal minor rendimento dei "Bund" tedeschi, quotati attorno all'1.80 anziché, come pochi giorni fa, al di sopra del 2. La Germania dovrebbe accrescere i consumi interni e le spese pubbliche per equilibrare l'economia propria e quella europea, ma ancora non ci sono segnali in questa direzione.

Infine una parola sul tasso di cambio euro-dollaro. Molti commentatori vedono la svalutazione dell'euro, che recentemente oscilla attorno a 1.30 con tendenza a ulteriore ribasso, come una sciagura. Ma non è affatto una sciagura. Appena un anno e mezzo fa l'euro era a livello di 1.18 sul dollaro e questa quotazione favorì le esportazioni. In tempo di recessione, un leggero aumento dell'inflazione e una discesa del cambio estero non sono sciagure ma eventi positivi e come tali andrebbero valutati.

Post scriptum: Mario Monti ha escluso tassativamente sue candidature politiche alle future elezioni e ha escluso anche - e giustamente - una sua candidatura al Quirinale perché quella posizione non prevede e non sopporta candidature. Le domande su questi propositi politici di Monti ed eventualmente dei suoi attuali ministri erano inutili poiché le risposte erano prevedibili ed ovvie.
Resta il fatto che alle prossime elezioni tutto sarà diverso da prima; pensare che si ripetano le procedure d'un tempo e che si torni a confrontarsi sullo stesso campo da gioco è pura illusione. Questo governo è stato un'innovazione per il fatto stesso di esistere e di esser nato con queste modalità peraltro perfettamente costituzionali. Questa innovazione non è una rondine pellegrina ma un decisivo aggiornamento della democrazia parlamentare. Questo è un evento positivo con il quale la dolorosa e sofferta emergenza ci compensa.

di Eugenio Scalfari; la Repubblica

Implosioni

Avete visto la conferenza stampa di fine anno di Mario Monti? Molto severa, molto contenuta, molto ironica. E ve le ricordate le conferenze stampa di fine anno di Silvio Berlusconi? Quanto faceva il ganassa? Il ghe pensi mi? Elencava prodigi e miracoli. Sorrideva felice di comandare, di essere il numero uno. Invece Monti ha questo volto grave, questo eloquio meditabondo, questa solennità irrimediabile e inconfutabile. Ah, essere un premier! Di gioia Berlusconi esplodeva. Monti più sobriamente implode.

di Mattia Feltri; LA STAMPA

domenica 1 gennaio 2012

Buon 2012

Tanti auguri a tutti!!! Ma perché continuiamo a festeggiare la fine di un anno se quello che viene farà ancora più schifo?