sabato 19 febbraio 2011

Viva l'Italia (ma sul serio)!!!

Sventurato il Paese che ha bisogno di eroi, diceva Brecht. Si potrebbe dire sventurato anche il Paese che ha bisogno di comici: c’è voluto Roberto Benigni per risvegliare l’amore per l’Italia in un popolo che sembrava guardare alla propria patria senza emozione, senza stupore e quindi senza coglierne la bellezza. In tutto il mondo ammirano la nostra storia, la nostra cultura, la nostra arte, le nostre meraviglie naturali e anche tanti aspetti del nostro carattere. Per noi tutto questo scivola via come un qualcosa di acquisito e quindi di dovuto: ci soffermiamo sui nostri difetti (e quale popolo non ne ha?), ci diciamo che se c’è qualcosa che ci contraddistingue questa è la nostra cialtronaggine.

Il vecchio vizio dell’autodiffamazione dai film di Alberto Sordi (che con la sua satira confermava però il genio italiano) è diventato carne e sangue in tanta parte di popolo.
E soprattutto, ahimè, in tanta classe dirigente. Ma in quale Paese al mondo la politica si sarebbe divisa sull’opportunità o no di festeggiare un centocinquantesimo anniversario?
Il governo ha varato solo ieri il decreto che fa del 17 marzo una festa nazionale, dopo tante esitazioni da Sor Tentenna. E non è azzardato pensare che a dare la sveglia ci sono voluti Benigni e il festival di Sanremo. L’avete sentito Benigni quando, facendo l’esegesi della prima strofa - Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta - ha sottolineato il verbo destarsi? «Destiamoci, svegliamoci», ha quasi gridato. Difficile anche pensare che in Consiglio dei ministri non abbiano tenuto conto dei dati sugli ascolti: Benigni ha avuto un picco di 19 milioni 737 mila spettatori, e quando ha finito di cantare l’inno lo share era un mostruoso 65,6 per cento.
Ci sono voluti dunque Benigni e Sanremo per dare la sveglia, ma qualcuno s’è svegliato male. La Lega s’è opposta alla festa. Anzi, chiamiamo le cose con il loro nome: quella della Lega non è un’opposizione. Un’opposizione, così come ogni idea diversa, ha sempre diritto di cittadinanza, e si può dissentire anche su una festa nazionale. Ma chiamarla «follia», quindi dare del pazzo a chi vuole celebrare la nascita dell’Italia unita, non è un’idea diversa: è un qualcosa che si qualifica da sé e che qualifica anche chi lo esprime.

Se questo è il livello di chi ci governa, un livello purtroppo in linea con quello di tanti animatori del cosiddetto dibattito culturale, non stupisce che sia un comico a poter vestire legittimamente i panni del nuovo maestro nazionale. Negli anni Benigni ci ha raccontato l’orrore delle leggi razziali, la bellezza della nostra letteratura, perfino la profondità del senso religioso (ricordate come parlava della Madonna rileggendo Dante?), infine l’eroismo con cui i nostri fratelli del passato hanno dato la vita per un’Italia libera dal giogo straniero. E’ stato insieme maestro di storia e cantore delle passioni che di generazione in generazione hanno costituito ciò di cui oggi siamo fatti.

Ha riempito un vuoto, ed è totalmente fuori strada chi vuol fare di lui un interprete di parte. Benigni è un uomo di sinistra e non lo ha mai nascosto. Ma la sua lectio magistralis non ha nulla a che spartire con la desolante faziosità che ha contagiato da tempo politici e intellettuali sempre schierati a priori, mai disposti a riconoscere la realtà se la realtà non coincide con il proprio interesse. Benigni non è uomo che divide per chi lo guarda con occhi onesti. Giovedì sera, appena terminata la performance di Benigni, il ministro La Russa - che non è certo un uomo di sinistra - è andato a dar la mano al direttore artistico del festival, Gianmarco Mazzi: e in quel gesto, fatto in un silenzio che è parso solenne, è sembrato di vedere un sincero ringraziamento per quel che Sanremo aveva regalato agli italiani.

Benigni sa far ridere e sa far piangere, e chi sa far ridere e far piangere tocca le corde più profonde dell’umano. Un altro grande dello spettacolo, Mogol, non ha avuto torto ieri in conferenza stampa ad accostarlo a Chaplin, e a dire che l’altra sera Benigni ha risvegliato un sentimento di amor patrio che non era morto, ma solo sopito.

Accanto al viva l’Italia dell’altra sera sale dal cuore anche un viva Benigni, comico e maestro. E suscita speranza vedere anche comici più giovani come Luca e Paolo. A chi rimproverava loro di aver letto un brano di Gramsci, e quindi di un uomo di parte, Luca e Paolo hanno risposto che uno degli autori che hanno suggerito quel brano è di Comunione e Liberazione, non un comunista: a dimostrazione che per chi ragiona senza pregiudizi conta più la sostanza di un testo che la persona che l’ha scritto.

I comici volano più alto di chi dovrebbe guidarci per ruolo istituzionale. Ma forse questa, più che una sventura, è un’altra testimonianza di quanto siano infinite le risorse di un Paese che qualcuno non vorrebbe celebrare.

di Michele Brambilla; LA STAMPA

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