mercoledì 7 luglio 2010

Chi si accontenta gode

Ilaria d’Amico ha una carriera in costante ascesa, un figlio appena nato, una casa a Milano e una a Roma. Poi ha un luccicante brillante sull’anulare della mano sinistra, e al polso destro tre braccialettini di cuoio con impresso a fuoco il suo nome, quello del figlio e quello del compagno. Ha un compagno immobiliarista che, ogni mattina a colazione, intona un mantra fatto in parti uguali di indignazione e rabbia. Il signor Rocco Attisani sfoglia il giornale sull’iPad e, mentre il caffè si raffredda, ripete “che maiali, porca miseria che maiali, mamma mia che maiali”.

E lei interviene?
«Sa, Rocco è milanese, ligio, preciso, rispettoso. È tra quelli che hanno il diritto di arrabbiarsi. Io sono romana, forse più incline alle sfumature, così a volte mi ritrovo a fare l’avvocato del diavolo, tento di giustificare comportamenti imbarazzanti».

Ma quella è pura dinamica di coppia, infatti qui, seduti nella hall di un hotel, se le si apre un quotidiano davanti agli occhi, Ilaria D’Amico non sgrana lo stesso rosario del compagno solo perché preferisce ridacchiare caustica. Prima notizia: la nuova dama bianca, la ventottenne segretaria della regione Lazio, reclutata all’improvviso nello staff del premier per la riunione del G20 in Canada.
«Eh, qui persino Rocco è scoppiato a ridere. I casi sono due. Forse erano malate tutte le segretarie della presidenza del Consiglio per un’epidemia di febbre gialla, e così Berlusconi è stato costretto a farsene prestare una dalla regione Lazio. Oppure ci ha voluto solo far sapere che, finché sarà il presidente del Consiglio e avrà questo consenso popolare, il governo è lui, gli aerei di Stato sono suoi e quindi fa come gli pare. Ritiene suo diritto comportarsi come se fosse a Villa Certosa. È la Casa delle libertà? Bene, lui se le prende tutte».

Quale delle due ipotesi è più probabile?
Sorriso, ma non lo stesso che affiora quando parla, per esempio, del figlio Pietro. «La seconda che hai detto».

E di questo pasticcio che mi dice? chiedo indicando un titolo su Aldo Brancher.
Altro sorriso arricciato. «Dico che la legge del legittimo impedimento servirebbe, ragionevolmente, per proteggere chi ha incarichi istituzionali. Non per fornire uno scudo a chi è alla vigilia di un processo. Siamo al parossismo. Già gli ultimi governi hanno avuto ministri che sembravano il cavallo di Caligola, ma qui si è passato il segno. Vuoi una parola: vergognoso».

Colpa della destra o della sinistra?
«Colpa di una cialtronaggine che non paga pegno. E per questo dilaga. In tutte le campagne elettorali dicono “diminuiremo tasse, spesa pubblica, ministeri, province”. Presi i voti, aumentano tasse, ministri, spesa pubblica e pure le auto blu. Purtroppo delle bugie raccontate nessuno risponde».

Simona Ventura ha detto al nostro giornale che la politica è ormai un blob verdastro, che occupa ogni spazio.
«È vero, ed è anche un grande ufficio di collocamento per le dame bianche di cui parlavamo prima. Destra o sinistra non importa».

È uno scandalo?
«Nessuno scandalo. Noi italiani siamo abituati. Per poter fare una tac in tempi ragionevoli dobbiamo prima farci raccomandare e poi ringraziare. Raccogliamo le briciole che cadono dal tavolo dove mangiano i potenti. E finché qualcosa arriva, ci accontentiamo ».

Speriamo nei giovani.
«I giovani in Italia hanno questa peculiarità: non possono fare i giovani e restano però tali fino ai cinquant’anni o giù di lì».

Cioè?
«Gli ultimi che hanno avuto il privilegio di essere giovani sono quelli che hanno fatto il ’68. Al tempo, per loro ritenevano lecito tutto, adesso comprimono libertà e sogni di chi ha vent’anni. Oggi i sessantottini comandano, e hanno un’idea distorta dell’età. Pochi mesi fa sono stata definita “una giovane rivelazione”, anche se lavoro da più di dieci anni. Spesso viene definito “giovane regista” un brizzolato signore di 47 anni. Attenzione. Non è benevolenza, ma autoreferenzialità».

Me lo spiega?
«Be’, se si considera giovane una persona di mezza età, chi ha sessantacinque anni può ritenersi maturo, e non anziano. Quindi non ha motivo di lasciare poltrona, responsabilità e ruolo alle nuove leve. Io spero di avere la coerenza, quando sarà il momento, di andare in pensione. Ma la domanda è: ci sarà la pensione?».

Dovevamo parlare di giovani, quelli veri, i ventenni, e dopo un istante, puff, sono di nuovo spariti dal discorso. E anche nella nazionale mi pare… Balotelli, Cassano.
«Nel paese dell’approssimazione e delle non regole si pretende però che la Nazionale sia un modello di disciplina. E così, invece di essere gestito, il talento viene azzerato. Si preferisce la mediocrità obbediente, quella capace di un compitino senza fantasia. Il genio spaventa».

Quest’anno non ci è riuscito nemmeno il compitino.
«Siamo partiti sicuri. Ci fidavamo tutti di Lippi. Agli italiani piace mettersi nelle mani dell’uomo vincente. Nessuno l’ha criticato. Eravamo i campioni in carica e il nostro era il girone più facile: un mix nefasto per la nostra mentalità. Abbiamo affrontato le prime partite con sufficienza e siamo stati spazzati via».

Da quando lavora a Sky, qual è stata la sua più grande soddisfazione?
«Essere riuscita a costruire quello che desideravo. In Rai era impossibile. Quando lavoravo per viale Mazzini ero confinata sul satellite. Ovviamente, dopo mi hanno cercato ed erano pronti a pagarmi mille volte più di prima».

L’asticella oggi è rasoterra: diventeremo campioni di salto in basso?
«Ormai vale tutto. Anni di mala politica ci hanno abituato a vedere le regole e le leggi prese a schiaffi. Siamo al teatrino, ma anche prima non andava meglio. C’è una sfacciataggine senza confini, ma noi italiani non reagiamo, non abbiamo più l’ambizione di avere una classe dirigente capace. Pensiamo che l’unico diritto da rivendicare sia quello alla sopravvivenza. La gente non vota il migliore, ma quello che gli condona la veranda abusiva. Così si genera un rapporto di complicità che ha i suoi effetti».

Quali?
«Il figlio di Bossi, dopo aver ripetuto più volte la maturità, entra nel consiglio di vigilanza dell’Expo 2015 di Milano, e non succede nulla. Il figlio di Sarkozy, laureato, entra nel consiglio di amministrazione che gestisce La Défense, un centro direzionale parigino, ed è costretto dalle polemiche a rassegnare subito le dimissioni».

Lei si indigna?
«Sì, ma non so più contro chi. C’è un muro di gomma, anzi, una big bubble masticata e molliccia che ti invischia, ti toglie le forze e la volontà. La legge bavaglio sarà l’ennesimo sopruso che subiamo».

Soluzioni?
«Forse astenersi. Da tutto. Tutti insieme. Fare il partito del no, rifiutare un intero sistema corrotto, che deve essere ricostruito, non riformato. Ho votato sempre, e ho cambiato spesso. Ho iniziato con Spadolini, poi i radicali, e poi gli altri, ma non ce la faccio più».

Arriva il diluvio universale. Sull’arca puo portare solo un politico: chi salva?
«Quelli del Pd è inutile, una volta a bordo si getterebbero in acqua da soli. Salvo Pannella: verboso, incontenibile, disinteressato, coraggioso. Non potrà mai essere a capo del governo, ma è il giusto tributo a un sognatore».

di Andrea Greco; A

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