Le dimissioni - anzi il brusco dimissionamento, voluto da Berlusconi - dell’occasionale ministro Brancher e il lungo incontro avuto ieri con Tremonti sono le prime mosse del premier per arginare la difficile situazione trovata al rientro dall’estero. Non essendo possibile, al momento, affrontare veramente i problemi gravi che ha davanti il governo, quella che si sta delineando è una classica soluzione balneare, un rappattumamento che non somiglia affatto ai proclami ottimistici di Berlusconi venerdì sera in tv, quando a tutto pareva bastare un sorridente «Ghe pensi mi».
Invece, ancora una volta da quando la crisi economica ha preso il sopravvento anche in Italia, è toccato al sottosegretario Gianni Letta confermare ieri la complessità di una situazione senza molte vie d’uscita. La manovra dovrà quindi passare presto, con le buone o con le cattive, in Parlamento, dove sarà presto riproposta la questione di fiducia per decimare le migliaia di emendamenti che tendevano a modificarla e ad ammorbidirla. Nelle Camere lo scontro sarà durissimo e la maggioranza, pur militarizzata, verrà messa a dura prova.
Le Regioni, fin qui arrampicate su una specie d’Aventino e pronte a rinunciare ai loro poteri per mancanza di mezzi per finanziarli, dovranno fare buon viso a cattivo gioco e accontentarsi dei cambiamenti minimi che saranno concessi dal ministro dell’Economia.
Sullo sfondo, tutte le questioni che hanno rallentato la marcia, sempre più difficoltosa, del governo, restano intatte. Il gelo con il Quirinale, determinato dalla nomina-imbroglio di Brancher - un ministro di cui non si riuscivano neppure a chiarire le deleghe, un'operazione che il Capo dello Stato aveva definito «un gioco delle tre carte» - potrà magari trovare un ammorbidimento, ma non fino al punto da convincere Napolitano a collaborare con i suoi tecnici alla messa a punto di un testo condivisibile della legge sulle intercettazioni. Il Presidente della Repubblica è risoluto a dare il suo giudizio, ed eventualmente a negare la sua firma se le nuove norme non lo convinceranno, solo dopo che il Parlamento le avrà licenziate. Sempre che ci riesca e sempre che Berlusconi e Fini trovino un'intesa, assai ardua da individuare, sul provvedimento, mentre ancora non sono d'accordo neppure sui tempi delle votazioni e stanno valutando se non sia venuto il giorno di dividere politicamente le loro strade.
Anche in questo caso, però, il giorno non sembra arrivato. Né il Cavaliere, né il presidente della Camera sono pronti a separarsi, pur se le loro strategie, ormai è chiaro, collidono. Berlusconi pensa a un ennesimo nuovo partito (nei corridoi della Camera se ne parla, ricordando l’uscita a sorpresa di piazza San Babila del 2007) come di un «predellino 2».
Anche Fini è in cerca di nuovi approdi, forse centristi, forse terzaforzisti, non sufficientemente definiti. Pur vivendo ormai da mesi come «separati in casa», i due leader non hanno alcuna convenienza a divorziare adesso. Il divorzio avverrà quasi certamente quando la prospettiva finale della legislatura sarà più chiara, e per questo occorrerà aspettare la fine dell’anno.
Se in autunno, come molti si aspettano purtroppo, la crisi economica dovesse incrudelirsi e la manovra del governo, manifestamente più debole di quella di altri partners europei come Germania e Inghilterra, rivelare la sua insufficienza, cresceranno infatti le tentazioni di dare una spallata a Berlusconi, anche più vigorosa di quella che confusamente è stata tentata in sua assenza nell’ultima settimana. Lo testimonia, tra l’altro, il ritorno agli appelli al Capo dello Stato e all’ipotesi di un governo d’emergenza da parte delle opposizioni. Se invece, come lui stesso spera senza farne mistero, lo stellone italiano riuscisse nuovamente a prevalere, e la ripresa a farsi un po’ meno timida di quel che appare oggi, il Cavaliere avrebbe finalmente mano libera per la resa dei conti con i suoi avversari, soprattutto interni al centrodestra, e per cercare un rilancio personale nello scioglimento anticipato delle Camere e in un nuovo lavacro elettorale.
Ma intanto, anche se è contrario al suo temperamento, a Berlusconi tocca aspettare. In altri tempi, si sarebbe detto che il premier, il suo esecutivo e la sua maggioranza devono fare la verifica. Poi si sa, sulle verifiche estive aveva sempre il sopravvento il «generale agosto», e per far passare l’estate e insieme decantare il quadro nasceva un «governo balneare». L’unica cosa che è rimasta di quei tempi, verrebbe da concludere.
di Marcello Sorgi; LA STAMPA
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