sabato 10 luglio 2010

Sminzoliniamoli

Ma perché sono stati mobilitati i reparti antisommossa per fermare un corteo di terremotati pacifici, senza black bloc e senza giovani rivoluzionari armati di estintori? Le immagini in diretta della benemerita Sky, che non è certo una riedizione di Telekabul ma soltanto si limita a non applicare il "codice Minzolini", hanno fatto vedere in maniera inequivocabile che la marcia degli Aquilani a Roma era al tempo stesso popolare e ragionevole. Di sicuro, tra molte donne e tanti anziani non c'erano i professionisti del passamontagna, niente sbarre e bastoni, niente bandiere rosse e neppure ghigni e grugni di facinorosi. In generale si sa che i terremotati sono spesso arrabbiati ma raramente pericolosi, e in particolare gli abruzzesi dell'Aquila sono di natura ben più quieti dei sovversivi siciliani del Belice, non sono agitati dalle turbolenze plebee degli irpini e non hanno neppure le durezze calviniste dei friulani. Insomma, da che mondo è mondo, tutti i terremotati cercano aiuti e organizzano marce, chiedono procedure speciali e facilitazioni fiscali come quelle che ieri sera sono state inserite e approvate, con un lodevole emendamento, nella finanziaria. I terremotati dell'Aquila esigono, con molte buone ragioni, i mutui agevolati, pungolano la cultura scientifica, premono sulle banche, sperano nei governi e pretendono la solidarietà che, per la verità, gli italiani sono sempre disposti a dare, anche in forma di tasse e pur diffidando da sempre, e giustamente, della buona amministrazione: «Si incolpa solo il Fato/ l'Evento se è ferale / l'uomo è peggior del male / l'aiuto ei si rubò» scriveva il principe di Biscari dopo la distruzione di Messina in un lunghissimo e bellissimo poemetto che prefigura la Protezione civile del pio Bertolaso. Ma il terremotato è soprattutto facile preda dei demagoghi e degli sciacalli: «Smarriti e timorosi / ninfe, pastori e armenti / vittime dei verbosi / manipolator di menti». Insomma alla fine tutto si può fare dinanzi ad una piccola folla di terremotati infelici che ti vengono a cercare fin sotto casa, e si può persino usare ancora la demagogia, ma non è lecito affrontarli con la pesantezza dei manganelli della polizia: «Trema il suolo, il mar ci inonda / sordo è il re ai mesti accenti / fra gli affanni ed i lamenti / chi soccorso a noi darà?». Dunque il presidente del Consiglio, che era impegnato a Palazzo Grazioli in una delle tante assemblee contro i traditori e gli ingrati, non solo non è sceso fra questi disgraziati manifestanti aquilani a spiegare tutte le meraviglie che erano state propalate dal Tg1 solo due mesi fa sotto il titolo «il miracolo della ricostruzione» nell'anniversario del sisma dell'aprile 2009, ma, come un caudillo sudamericano, si è nascosto dietro un diluvio di poliziotti che di nuovo hanno usato la violenza, e di nuovo sui più innocenti, sulle vittime per definizione come sono appunto le vittime delle sciagure naturali, che in Italia si affiancano alle violenze sociali, alle mafie, alla corruzione, al malgoverno. Ma perché ha paura della folla aquilana il premier che all'Aquila ha fatto i suoi più riusciti bagni di folla? Ai tempi delle promesse, quando disse che l'Aquila sarebbe tornata «più bellae più florida di prima» Berlusconi arrivava all'improvviso per sopralluoghi nei paesaggi delle macerie informi, per comizi a gente rabbrividente e tutta stonata, maneggiava con sagacia e, bisogna riconoscere anche con efficacia immediata, il primo danaro del pronto soccorso, ordinava di seppellire i morti e accoglieva, un po' spronandole e un po' intestandosele, le carovane della solidarietà di un'Italia che come sempre si univa nella disgrazia, perché nelle peggiori tragedie ci capita di dare il meglio di noi: sottoscrizioni, copiosissime donazioni di sangue, offerte di ospitalità... Davvero ci sentimmo ed eravamo tutti abruzzesi. Per quelle dignitose lacrime di poco più di un anno fa, ci sono adesso familiari i volti degli abruzzesi in corteo a Roma. Sono i volti dei nostri fratelli perché l'Aquila è più che mai una questione nazionale che Berlusconi ha il dovere di affrontare anche in Parlamento,e magari tornando nei suoi tg a spiegare che cosa si deve fare di quel centro storico che rischia di morire, come i giornalisti di ogni tendenza, italiani e stranieri, hanno ormai documentato. Vuole ricostruirlo o vuole abbandonarlo? È Berlusconi che volle celebrare all'Aquila quel G8 che, dirottato apposta dalla Maddalena, ha poi aperto il capitolo nero della sporcizia di Stato che faceva capo alla Protezione civile. È Berlusconi che ad ogni piè sospinto gridava: «Non vi abbandonerò mai». Tutti sanno che il governo Berlusconi esordì con le promesse della ripulitura di Napoli e della ricostruzione dell'Aquila. E nessun'altra catastrofe sismica ha provocato tanti carmi e tante elegie, odi e inni sulla ricostruzione e sul suo miracolo, neppure la rinascita di Lisbona che nella storia dell'umanità è stata certamente la più cantata. Attenzione: noi non neghiamo che il premier seppe spendersi anche sul piano personale. Ma la storia insegna che qualsiasi città terremotata inizialmenteè popolata da sciacalli e becchini, da ciarlatani e trascinatori di folle e da speculatori contenti, come quegli imprenditori che, legati alla cricca, inneggiarono alla distruzione dell'Aquila prima ancora dell'ultima scossa. È dopo che la città sventrata diventa un cantiere, sveglia i talenti finanziari e imprenditoriali, crea ad un tempo i ricostruttori e i garanti della memoria storica. Insomma solo dopo il tempo dello sciacallo, che in passato veniva impiccato senza processo, comincia il tempo della responsabilità. Chiuso nel suo bunker, circondato da legioni di manganellatori, Berlusconi si nega alla responsabilità di decidere cosa fare di quel centro storico. Smascherato «il miracolo della ricostruzione», ora gli italiani sanno che ci sono stati politici che hanno lucrato sul patetico e sull'estetica delle rovine e palazzinari che hanno organizzato, anche bene, il festival del prefabbricato di periferia. Ma può essere lo sciacallaggio il destino dell'Aquila?

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