Dopo il governo danese, anche quello britannico di Cameron sta seriamente
pensando di mettere una tassa sul burro e sui cibi unti, con l’obiettivo
moraleggiante di convertire eserciti di obesi al pinzimonio e la speranza cinica
di utilizzare la gola dei grassoni per rimpinguare le casse emaciate dello
Stato. Mi rendo conto che nei periodi di vacche magre tutto fa brodo,
soprattutto i grassi. Inoltre dicono che si tratterebbe di una forma di
autofinanziamento: i soldi dell’imposta serviranno a pagare le cure mediche
degli obesi, che pesano sulle tasche dell’intera comunità. In Danimarca, forse.
In Inghilterra già ne dubito. Mentre nei Paesi dell’Europa mediterranea (ve ne
viene in mente qualcuno?) ho la ragionevole certezza che, prima di raggiungere
gli ospedali, i denari ricavati dalla ciccia si perderebbero fra i muscoli
flaccidi del corpaccione burocratico, andando a rimpinguare la pancia mai sazia
dei corrotti. Perché allora non finanziare con le tasse sui vizi una riduzione
delle imposte sulle virtù? Se lo Stato vuole spingerci a comportamenti
salutisti, otterrebbe molto meglio il suo scopo aiutandoci a pagare di meno le
cose che fanno bene. Le quali, dalle energie pulite ai cibi biologici, sono
invece le più care di tutte.
Inchiostro sprecato, lo so. Se la parificazione del burro agli alcolici è un formidabile segno dei tempi, rimane vecchissima la soluzione proposta: risolvere ogni problema mettendoci sopra un balzello. Un difetto da cui la politica obesa non vuole guarire. Tanto la tassa sui suoi vizi la paghiamo noi.
Inchiostro sprecato, lo so. Se la parificazione del burro agli alcolici è un formidabile segno dei tempi, rimane vecchissima la soluzione proposta: risolvere ogni problema mettendoci sopra un balzello. Un difetto da cui la politica obesa non vuole guarire. Tanto la tassa sui suoi vizi la paghiamo noi.
di Massimo Gramellini; LA STAMPA
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